L’ultima estate del Mostro
L’estate in cui il Mostro tornò tra le colline, e Firenze capì che l’incubo non era finito
domenica 26 ottobre 2025 16:19
Dal 1983 al 1985, tre nuovi omicidi chiusero la scia di sangue e aprirono la vera caccia. Dopo la scoperta dei delitti più antichi e le prime conferme balistiche, sembrava che la verità fosse ormai a portata di mano. Firenze viveva sospesa, come in un lungo respiro trattenuto. E poi, all’improvviso, il silenzio si spezzò.
Nel settembre del 1983 il Mostro tornò. Lo fece come sempre, tra le colline, là dove il buio è fitto e le luci della città si vedono solo da lontano. Ogni colpo di pistola fu un messaggio. Ogni campo, una nuova paura.
Giogoli, 1983
Il 9 settembre 1983, a Giogoli, sulle alture tra Scandicci e il Galluzzo, il Mostro tornò a colpire. Le vittime erano due ragazzi tedeschi, Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, entrambi ventiquattrenni, in vacanza in Italia. Viaggiavano su un camper Volkswagen e, la sera prima, avevano parcheggiato in una piccola radura per passare la notte.
La mattina seguente, un passante notò il mezzo fermo lungo la strada. Dentro, i corpi dei due giovani, colpiti nel sonno da una raffica di proiettili. L’assassino aveva sparato attraverso i vetri, nel buio, con la stessa pistola calibro .22 dei delitti precedenti.
Questa volta, però, le vittime non erano una coppia uomo e donna. Gli investigatori pensarono a un errore: forse il Mostro li aveva scambiati per amanti, colpendo d’istinto. Ma i bossoli Winchester con il marchio “H” non lasciavano dubbi. Era la stessa arma. Lo stesso assassino.
Il panico tornò a diffondersi, e non solo in Toscana. Le cronache tedesche parlarono del Monster von Florenz. La leggenda nera del Mostro era ormai internazionale.
Vicchio, 1984
Un anno dopo, la notte del 29 luglio 1984, l’incubo si ripresentò a Vicchio, nel Mugello. Le vittime erano Claudio Stefanacci, ventunenne studente universitario, e Pia Gilda Rontini, diciottenne barista. Si erano appartati in una Fiat Panda rossa, in località “Boschetti di Vicchio”, lungo una strada di campagna.
Il killer agì con la stessa freddezza. Sparò nel buio, poi si avvicinò. Claudio fu colpito più volte mentre cercava di uscire dall’auto. Morì a pochi passi da Pia. Su di lei, l’assassino infierì con una precisione quasi rituale: asportò il seno sinistro e la zona pubica. Quel delitto segnò un punto di non ritorno.
Non era solo l’ennesimo omicidio, ma un messaggio di potenza, un atto di dominio. L’Italia scoprì, in tutta la sua evidenza, di avere a che fare con un serial killer.
I giornali smisero di scrivere semplici cronache. La storia del Mostro di Firenze diventò un racconto collettivo, una paura condivisa. I campeggi si svuotarono, le coppie evitarono le campagne, e le pattuglie dei carabinieri presidiavano ogni strada sterrata. La Toscana non dormiva più.
Scopeti, 1985
L’ultimo delitto avvenne nella notte tra il 7 e l’8 settembre 1985, a Scopeti, nel comune di San Casciano Val di Pesa. Le vittime erano due turisti francesi: Jean-Michel Kraveichvili, venticinquenne, e Nadine Mauriot, trentaseienne. Avevano piantato la tenda in un piccolo boschetto, a pochi metri dalla strada.
Al mattino, un passante notò il campo silenzioso e avvisò i carabinieri. Jean-Michel fu trovato poco distante, colpito e accoltellato mentre cercava di scappare. Nadine, invece, giaceva nella tenda: nuda, mutilata al pube e privata del seno sinistro. Parte di quel seno, giorni dopo, fu spedita per posta al giudice istruttore Silvia Della Monica. Un gesto glaciale, calcolato, che fece precipitare tutto nell’orrore.
Sulla scena c’erano otto bossoli calibro .22 Winchester H. Accanto alla tenda, resti di materiale bruciato: un principio d’incendio, forse tentato per cancellare le tracce. Ma quella scena era diversa, più caotica. Come se il Mostro avesse agito in fretta, disturbato, o con la sensazione di essere ormai braccato.
“Occhio ragazzi!” La paura sui muri
Dopo Scopeti, Firenze si fermò. Le autorità lanciarono una campagna di allerta con un messaggio semplice e inquietante: “Occhio ragazzi!”. Sui muri apparvero manifesti con un grande occhio disegnato, che sembrava fissare ogni passante. Era l’immagine perfetta di quell’autunno: una città che si sentiva osservata, giudicata, e mai davvero al sicuro.
Chi era giovane allora lo ricorda ancora. Ricorda quell’occhio bianco e nero che spuntava alle fermate dell’autobus, sulle colonne, nei vicoli. Un segno muto, ma costante, che diceva a tutti che il Mostro poteva essere ovunque. Per una generazione intera, quello sguardo rimase impresso più di qualsiasi volto.
Dopo l’ultimo delitto, il Mostro smise di uccidere. Ma il silenzio non portò pace. Fu l’inizio di una nuova ossessione: quella della caccia.
Nel settembre 1984 — già prima di Scopeti — lo Stato aveva reagito creando la S.A.M., la Squadra Anti Mostro. Un gruppo misto di Polizia e Carabinieri, incaricato di unificare le indagini e seguire ogni pista con metodo e rigore. Per la prima volta, lo Stato agiva come un solo corpo contro un nemico invisibile. La S.A.M. divenne il riflesso opposto del Mostro: razionale, metodica, ostinata.
Da quel momento cominciò un’altra storia — fatta di perizie, interrogatori, false piste e ossessioni investigative. Una caccia lunga anni, destinata a lasciare un’ombra pesante quanto i delitti stessi.
Se ti sei perso l’inizio leggi:
2. Il passato tornò ad uccidere
