L’estate del Mostro

L’inizio della storia che cambierà per sempre Firenze

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domenica 19 ottobre 2025 10:33

Certe storie non cominciano con un urlo, ma con un silenzio.

 

All’inizio degli anni Ottanta, fuori dal centro di Firenze, le colline profumavano di erba tagliata e benzina.
I ragazzi parcheggiavano le macchine sotto i cipressi, nei campi, nelle strade bianche che portano a Scandicci o a Calenzano.
In città si parlava di politica, di concerti, di estate. Nessuno pensava che qualcosa potesse spezzare quella normalità così fiorentina, fatta di rumori di motorini e serate lungo l’Arno.
Nessuno immaginava che in quelle stesse notti, qualcuno si muoveva fra i filari con una torcia e una pistola calibro .22 Long Rifle.

Non c’erano ancora i cellulari, non c’erano i fari dell’informazione 24 ore su 24.
C’era solo la provincia toscana, viva e quieta, e un’ombra che cominciava a stendersi piano.
Quell’ombra diventerà presto un nome, e quel nome farà paura a un’intera generazione: il Mostro di Firenze.

 

Mosciano di Scandicci, giugno 1981

Era il 6 giugno 1981.
Giovanni Foggi, trent’anni, e Carmela De Nuccio, ventuno, si erano fermati con la loro Fiat Ritmo nei pressi di Scandicci, in un campo appartato dove spesso le coppie si ritrovavano dopo cena. Nessuno li aveva più visti.

La loro Fiat Ritmo color avana fu trovata in un campo, con il finestrino sinistro sfondato e il corpo del ragazzo al posto di guida, seminudo, riverso sul volante. A pochi metri, distesa a terra, Carmela giaceva supina, uccisa a coltellate e mutilata con precisione chirurgica.
L’assassino aveva tagliato i suoi jeans e mutilato con una precisione che trasformava il delitto in qualcosa di rituale, disumano.

Vicino, gli investigatori trovarono la borsetta gettata a terra e un piccolo blocco di granito a forma di piramide – un fermaporte, oggetto mai spiegato, un segno inutile e inquietante.
Sul terreno, otto bossoli calibro .22 Long Rifle, con il marchio “H” inciso sul fondello.
La stessa traccia che tornerà, identica, in ogni scena futura, scrivendo la cronaca nera più cupa della Toscana.

Le cronache locali raccontarono la paura di una città che improvvisamente scopriva il male a pochi chilometri dalle case, tra gli ulivi e la luce pallida di un’alba d’estate.
All’inizio si parlò di un gesto folle, di un maniaco isolato.
Nessuno poteva ancora immaginare che quella notte fosse solo l’inizio.
Quella notte la provincia di Firenze scoprì che il buio poteva nascondere qualcosa di peggio dei sassi e dei grilli.

 

Calenzano, ottobre 1981

Quattro mesi dopo, il 22 ottobre 1981, la paura tornò con un’eco precisa: un’altra coppia, un’altra macchina, un altro campo.
Susanna Cambi, ventiquattro anni, commessa, e Stefano Baldi, ventisei, operaio, si erano appartati in località Travalle di Calenzano, lungo una stradina sterrata tra gli alberi.
La loro Golf nera fu trovata il mattino seguente, i vetri in frantumi, i fari ancora accesi.
Sembrava che la notte non fosse mai finita.

Dentro, Stefano era riverso al posto di guida, colpito a morte da alcuni spari.
Susanna era stata trascinata fuori, accoltellata e mutilata con lo stesso rituale crudele già visto a Mosciano.
Sul terreno, tra l’erba e la ghiaia, i tecnici della scientifica raccolsero sette bossoli calibro .22 Long Rifle Winchester con marchio “H”, identici a quelli trovati mesi prima.
Per la prima volta, gli inquirenti non ebbero più dubbi: la pistola era la stessa.

Non si trattava di episodi isolati, ma della mano di un solo assassino che tornava a colpire con precisione e metodo.
Le cronache locali parlarono di paura e di panico, di coppie che non si fermavano più nelle campagne.
La parola “Mostro” cominciò a circolare come un sussurro.
Ogni macchina ferma nei campi sembrò sospetta.
Firenze, di colpo, non era più solo la città del Rinascimento: diventava lo scenario di una caccia all’uomo senza volto.
 

Baccaiano, giugno 1982

Il 19 giugno 1982, un sabato sera, arrivò la terza ferita.
Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, fidanzati da anni, si erano appartati a Baccaiano, tra Montespertoli e San Casciano. Quando i Carabinieri arrivarono, chiamati da automobilisti di passaggio, trovarono la Fiat 147 nel fosso.
Paolo era ancora vivo al volante, colpito, agonizzante. Morì poche ore dopo all’ospedale di Empoli. Antonella, sul sedile posteriore, era già morta.

Sul terreno,  bossoli calibro .22 Long Rifle Winchester con marchio “H”, gli stessi ritrovati a Mosciano e Calenzano.
Le ferite, i colpi di coltello, il modo stesso di uccidere: tutto parlava della stessa mano.

La notizia aprì i giornali di tutta Italia. Per la prima volta si parlò apertamente di un “Mostro di Firenze.”
Le colline, i sentieri, i prati frequentati dalle coppie furono battuti dalle forze dell’ordine.
I genitori vietavano le uscite notturne, la gente si chiudeva in casa.
La città viveva sospesa tra la curiosità e la paura, tra la voglia di sapere e quella di non uscire più di casa.

Gli inquirenti, adesso, avevano la certezza balistica: la stessa pistola aveva ucciso sei persone in un solo anno.
Ma ancora non sapevano che dietro quella scia recente si nascondevano ferite molto più antiche — delitti dimenticati, archiviati, pronti a tornare a galla.
Sarebbero bastati pochi mesi, due lettere anonime e una perizia balistica, per far scoprire che il Mostro colpiva da ben più tempo.

 

 

Il silenzio non tornò mai più uguale.

 

 

 
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