Il bosco sacro di San Vivaldo
Tra nebbia, cappelle e leggende: dove il beato che non fu mai santo veglia ancora sul suo eremo
sabato 18 ottobre 2025 19:55
Nel bosco di Montaione, quando la nebbia cala sulle cappelle di pietra, c’è chi giura di sentire il passo lento di un frate che non ha mai lasciato la sua cella. È il beato Vivaldo Stricchi, l’eremita di San Gimignano che visse e morì nella selva di Camporena, dove oggi sorge il Convento di San Vivaldo.
Vivaldo non è mai stato canonizzato, ma la devozione popolare lo ha consacrato per sempre come “San Vivaldo”. La leggenda racconta che, alla sua morte nel 1320, il corpo fu ritrovato intatto all’interno di un castagno cavo, come custodito dalla terra stessa. I pellegrini accorsero in massa e fecero a pezzi l’albero, convinti che quelle schegge fossero reliquie miracolose. Quando del castagno non restò più nulla, il corpo venne deposto in un piccolo oratorio costruito sul posto.
Nei secoli successivi, quel luogo divenne il Convento di San Vivaldo, che ancora oggi – si dice – custodisce le sue reliquie, forse sotto l’altare maggiore, anche se la tomba è andata perduta nel tempo.
Due secoli dopo, nel 1500, il frate Tommaso da Firenze decise di trasformare quel bosco in una Gerusalemme toscana: un luogo dove i fedeli potessero rivivere il pellegrinaggio in Terra Santa senza lasciare la Toscana.
Fece costruire decine di cappelle dedicate alla vita e alla Passione di Cristo — trentaquattro secondo le cronache antiche, diciassette quelle giunte fino a noi — disposte lungo i sentieri della selva, come tappe di un cammino simbolico.
Ogni cappella custodiva sculture in terracotta policroma, scene di fede e dolore ambientate tra alberi, muschio e pietra. Ancora oggi, camminando tra quelle piccole costruzioni immerse nella nebbia, si ha la sensazione che il tempo si sia fermato, e che il bosco respiri insieme alla preghiera.
Ma, nonostante la vocazione sacra del luogo, il bosco di San Vivaldo ha conservato un’aura di mistero. Al tramonto, tra i cipressi e la nebbia che avvolge le cappelle, il silenzio si fa presenza. C’è chi dice di aver udito canti lontani, chi racconta di campane invisibili che suonano da sole, e chi giura di aver intravisto una figura incappucciata tra gli alberi: il beato Vivaldo, che veglia ancora sulla sua selva.
Forse è solo suggestione, o forse è l’anima del luogo. Di certo, chi visita San Vivaldo resta sospeso tra fede e mistero, in quella sottile linea che da secoli separa la preghiera dall’inquietudine.