Prato, sfruttamento dei lavoratori con continue violenze e minacce: quattro uomini in carcere
Oltre a orari e turni massacranti, i dipendenti subivano violenze e minacce se tentavano di ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro
martedì 15 aprile 2025 10:59
Quattro uomini di un'azienda di Carmigniano, in provincia di Prato, in carcere per presunto sfruttamento lavorativo, con l'impiego di violenza e ripetute minacce nei confronti dei dipendenti.
Le misure cautelari, emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari di Prato, su richiesta della Procura di Prato, sono state eseguite nei confronti di quattro indagati: due di nazionalità pakistana - rispettivamente di 45 anni, destinatario degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico, in quanto ritenuto il dominus dell'attività delinquenziale, e di 56 anni, destinatario del divieto di dimora nella Provincia di Prato - e due di nazionalità cinese, rispettivamente, di 40 anni e di 39 anni, entrambi destinatari della misura del divieto di dimora nella Provincia di Prato.
I quattro, fa sapere la Procura di Prato, risultano la proiezione di una filiera più ampia di soggetti, riconducibili alla proprietà cinese, di una significativa struttura societaria. Lo sfruttamento lavorativo, con l'impiego di violenza e minaccia, è diventato strumento che cementa il modello criminale articolato che ruota attorno all'espressione imprenditoriale che ha beneficiato delle attività criminose poste in essere ai danni di persone in stato di bisogno che per vivere sono state costrette a subire condizioni incompatibili con la dignità umana, pur di sopravvivere.
Nei confronti degli indagati destinatari delle misure cautelari sono stati contestati i delitti di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato dall'uso della violenza e della minaccia, di rapina aggravata e di plurime lesioni personali, conseguenza di agguati violenti ai danni dei lavoratori sindacalizzati. Le indagini si sono svolte correlativamente all'adesione al sindacato da parte dei lavoratori sfruttati.
Le investigazioni si sono nutrite delle dichiarazioni collaborative di alcuni lavoratori che hanno assunto atteggiamento di collaborazione, dai referti medici relativi a chi ha subito le lesioni, dagli esiti dei tabulati e dalle intercettazioni, che ancora una volta si sono rivelate decisive, dalle immagini relative alla videosorveglianza del magazzino a Carmignano, località Seano, all'interno del quale sono risultate operare più imprese, e dagli accessi ispettivi che sono stati effettuati al suo interno, a più riprese. L'impresa incriminata è una compagine societaria esercente l'attività di facchinaggio, carico scarico, deposito, custodia e trasporto per conto terzi non alimentari ed è risultata essere una delle tre imprese che hanno ricevuto il 16 febbraio scorso i plichi esplosivi micidiali, che hanno generato incendi, nel quadro di una contrapposizione imprenditoriale, che sta vedendo dal giugno scorso una escalation criminale non solo nel territorio pratese, ma anche a livello trasnazionale.
Secondo la Procura, la descrizione delle condizioni di lavoro dei dipendenti pakistani, bengalesi, afgani ed africani, fornita dagli operai che hanno assunto atteggiamento collaborativo ha consentito di delineare una realtà caratterizzata da un profondo sfruttamento protrattosi per un cospicuo lasso temporale, attuato al fine di minimizzare i costi e massimizzare i profitti, a discapito dei diritti fondamentali dei lavoratori. Oltre dodici ore di lavoro ogni giorno, sette giorni su sette, in totale difformità rispetto alle previsioni contrattuali, con l'impiego anche di plurimi operai non assunti formalmente e, dunque, assunti in nero, con pause circoscritte in 10-15 minuti per consumare i pasti, salari e licenziamenti decisi unilateralmente e in modo arbitrario, con costante controllo e monitoraggio dei lavoratori.
Condizioni che si sono protratte anche dopo i controlli amministrativi effettuati e le prescrizioni impartite sul piano amministrativo e che sono state accompagnate dalla violazione delle basilari norme dettate in materia di sicurezza suoi luoghi di lavoro. Si tratta di violazioni gravi e significative, afferma la Procura di Prato, in considerazione degli alti rischi connaturati all'attività produttiva gestita dalle società in questione, che operano all'interno del magazzino dell'azienda.
Il tentativo, posto in essere da parte di diversi lavoratori, di ottenere il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro ha comportato l'adesione dei predetti alla protesta indetta dalla sigla sindacale SiCobas, a decorrere dal mese di aprile 2023. Dopo l'adesione dei lavoratori alla protesta sindacale, se da un lato gli stessi (e solo chi vi ha aderito) hanno ottenuto condizioni di lavoro corrispondenti a quanto previsto dal contratto di lavoro, dall'altro hanno ricevuto continue intimidazioni e minacce di ripercussioni, anche fisiche, queste ultime, poi, concretizzatesi con le aggressioni notturne perpetrate ai danni di più lavoratori, fra le quali, quelle occorse: il 29 aprile 2023, ad opera di due uomini travisati; nella notte del 18 luglio 2023, subito dopo essere stato escusso il lavoratore vittima, è stato aggredito con una mazza di ferro da due individui a bordo di un motoveicolo e con il volto coperto da casco integrale; il 23 giugno 2023, a opera di uomini reclutati dall'indagato posto agli arresti domiciliari, con applicazione del braccialetto elettronico. Aggressioni brutali che si sono ripetute il 2 agosto 2023, l'8 agosto 2023 e il 9 marzo 2024, al fine di sedare le rivolte sindacali.
A fronte di dichiarazioni collaborative di alcuni lavoratori, la Procura sottolinea come siano state registrate omissioni nelle indicazioni fornite da altri lavoratori, che sono state riconosciute dal Giudice quale lampante espressione del timore di subire le conseguenze negative di un intervento giurisdizionale a carico dell'impresa alla dipendenza della quale hanno trovato impiego.
Perciò, il GIP ha ritenuto sussistente un quadro idoneo a derogare alla regola, altrimenti applicabile, del c.d. "contraddittorio anticipato", permanendo la necessità dell'intervento cautelare "a sorpresa", vale a dire emettendo le misure cautelari senza previamente interrogare i destinatari delle richieste di misure cautelari.