Giovanni Impastato: "Dobbiamo seguire l'esempio di Peppino". L'intervista
Parla il fratello di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978
martedì 02 dicembre 2014 22:05
Sono passati 36 anni da quel 9 maggio. Era il 1978 e a Peppino Impastato era stata strappata via la vita, ucciso da quella mafia che aveva combattuto con le sue azioni e le sue parole. Giovanni aveva 25 anni quando suo fratello appena trentenne fu ucciso, e per tutti questi anni non ha smesso di parlare di lui, di girare l'Italia raccontando la sua storia, perchè Peppino e la sua eredità non vengano dimenticate, ma raccolte e usate per la lotta alle mafie. Lo abbiamo incontrato anche noi, ecco la nostra intervista a Giovanni Impastato.
Da anni le capita di girare l'Italia, di andare a parlare nelle scuole... I ragazzi conoscono Peppino e la sua storia?
La maggior parte della gente ha conosciuto la storia di Peppino quando è uscito il film I Cento passi (di Marco Tullio Giordana), e quando 15 anni fa uscì il film una generazione di ragazzi ha avuto la possibilità di conoscere questa storia, perchè il film fu molto proiettato nelle scuole. Oggi, anche se siamo di fronte ad un'altra generazione di ragazzi, gli studenti sanno ancora chi è Peppino, è diventato un simbolo negli anni, e una delle figure più conosciute nella lotta alla mafia, a livello di Falcone e Borsellino. La sua storia è ancora attuale.
Firenze, come città e comunità, come si colloca nel contesto di lotta alla mafia?
Firenze è una città molto sensibile a questi argomento, anche perchè stata colpita in prima persona da una strage mafiosa con i Georgofili nel 1993, e sicuramente quel fatto ha colpito profondamente la città. Il nostro lavoro in Toscana dà i suoi frutti, non soltanto a Firenze, perchè questa è una Regione tra le più attive e attente al problema mafia.
Cosa crede che occorra fare per sensibilizzare persone che vivono in Regioni apparentemente lontane dalle mafie, per far capire che si tratta di un argomento che riguarda tutti?
Io credo che prima di tutto si debba lavorare con gli studenti, andare nelle scuole, parlare con i giovani e con la società civile. Occorre studiare e capire il fenomeno e cercare di controllare maggiormente il territorio. Chi avvelena i fiumi, chi specula sui rifiuti... Questo è il genere di controllo che serve, la conoscenza del territorio è essenziale. La mafia è davvero un problema di tutti, se qualcuno mi chiedesse se ora come ora ci sia più mafia in Sicilia o in Lombardia, non avrei difficoltà a rispondere in Lombardia.
Quali sono le domande che le vengono poste più spesso su suo fratello Peppino?
La domanda più frequente è come Peppino sia riuscito a ribellarsi alla mafia e a lottare, nonostante provenisse proprio da una famiglia mafiosa. Peppino non era un magistrato o un poliziotto, non era pagato per combattere la mafia, era figlio di un mafioso e ha pagato un prezzo altissimo. Mi chiedono spesso anche cosa sia cambiato in questi anni e cosa possiamo fare tutti noi nella lotta alle mafie
Qual è la prima cosa che le viene in mente se pensa a suo fratello?
Mi viene in mente che Peppino ci credeva davvero in quello che faceva e diceva. Peppino era un idealista, e seguire il suo esempio significa prima di tutto crederci. Dobbiamo usare i suoi metodi per combattere la mafia, ovvero una corretta informazione, il controllo del territorio anche con documentazione fotografica come faceva lui, e la rottura totale con l'ambiente mafioso.
Siamo ancora indietro in questo?
Siamo indietro, ma siamo ancora in tempo. Non è troppo tardi e ce la possiamo fare.