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Strage dei Georgofili, corteo silenzioso e corona di alloro per le vittime

La commemorazione a 30 anni di distanza

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sabato 27 maggio 2023 09:38

Trent'anni sono trascorsi da quella terribile notte, tra il 26 e il 27 maggio 1993, quando l’esplosione di una bomba provocò la morte di Angela Fiume e Fabrizio Nencioni, delle loro figlie, Nadia e Caterina, e dello studente di architettura Dario Capolicchio, ferendo inoltre 41 persone.

 

Gravi danni subirono gli Uffizi, Palazzo Vecchio, la Chiesa di Santo Stefano al Ponte e tutti gli edifici intorno al luogo dove esplose l’ordigno. L’inchiesta giudiziaria acquisì la certezza che si era trattato di una strage mafiosa, attuata con la precisa volontà di condizionare la vita politica strappando situazioni di favore per i boss detenuti nelle carceri di massima sicurezza.

 

E proprio ieri notte, dopo che era stata inaugurata nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio la mostra progetto fotografico 'Unaezeroquattro', l’ora dell’esplosione, di Paolo Cagnacci e Matteo Cesari, e dopo il talk show sull'Arengario di Palazzo Vecchio, si è svolta la commemorazione istituzionale con un corteo silenzioso che si è diretto verso via dei Georgofili, per deporre una corona di alloro sul luogo della strage. Un ulteriore omaggio simbolico alle vittime dell’attentato è stato fatto attraverso l’installazione sul luogo dell’esplosione di un potente raggio di luce bianca che da terra è salito fino al cielo, e luci rosse che hanno lambito la Torre dei Pulci e gli Uffizi. Questa mattina cuscini di rose saranno deposti sulla tomba della famiglia Nencioni alla Romola nel comune di San Casciano in Val di Pesa e a Sarzana sulla tomba di Dario Capolicchio.

 

"Dario, Angela, Fabrizio, Nadia, Caterina. Firenze non dimentica", le parole sui social del sindaco di Firenze, Dario Nardella.

 

"A distanza di trent’anni ricordo ancora quella notte come fosse ieri", commenta il presidente della Regione, Eugenio Giani: "Da pochi mesi ero diventato assessore alla mobilità e ai lavori pubblici del Comune di Firenze, stavo svolgendo una funzione importante nel rapporto tra la giunta e la città. Fino a quel momento la mafia poteva essere considerata come un fenomeno localizzabile altrove, anche se certo c’erano state importanti inchieste giudiziarie, che avevano portato alla luce significative infiltrazioni della criminalità organizzata. Ma tutto sarebbe cambiato quella notte, appunto: la notte della strage di via dei Georgofili. La sera, ricordo, avevo l’abitudine di comprare l’edizione della notte della Nazione all’edicola di Santa Maria Novella, per leggerla a casa. Avevo cominciato le lettura verso mezzanotte e mezzo. Poco più tardi avvertii un grande botto, come se fosse successo qualcosa nei dintorni di casa. A quei tempi abitavo ancora a Legnaia, il quartiere della mia infanzia e della mia adolescenza. Uscii subito sul terrazzo e da lì scorsi una colonna di fumo. Al momento pensai a qualcosa che aveva coinvolto una fabbrica o un magazzino, magari a una fuga di gas. Pochi istanti più tardi mi arrivò la telefonata dell’operatore della polizia municipale, per cui rappresentavo l’assessore di riferimento. Con voce grave mi segnalò che era esplosa una casa torre nel centro di Firenze, nei dintorni degli Uffizi. Dissi che mi sarei subito precipitato sul posto".

 

Continua Giani: "Ricordo bene anche le scene successive, in macchina sui lungarni. In piazza Santa Trinita incrociai una persona col volto insanguinato. È stato un disastro, mi urlò chi la stava accompagnando all’ospedale. Arrivai in via dei Georgofili, dove spesso parcheggiavo anche io. Mi venne subito in mente cosa sarebbe potuto succedere se l’esplosione fosse avvenuta di giorno. I vigili urbani e i vigili del fuoco mi vennero incontro, mi domandarono come ritenevo di dover procedere. Altre scene di quella notte come un incubo: i corpi della famiglia Nencioni estratte dalle macerie, in particolare le due bambine, figlie di un vigile che conoscevo e che ricordo sempre sorridente, sempre positivo; il primo sopralluogo agli Uffizi per valutare i danni inferti alle opere; il momento in cui i vigili vennero a dirmi, sotto voce, che con tutta probabilità non era stata una fuga di gas: le caratteristiche delle schegge facevano propendere per una bomba. In quel momento mi sentii come soffocare: chi poteva aver voluto tutto questo? La mattina dopo le definitive conferme e l’emersione della pista mafiosa. Avevano voluto colpire Firenze, città della cultura, nel cuore stesso del suo patrimonio di cultura: quella galleria degli Uffizi che a oggi è la galleria di arte più visitata in Italia. Nei giorni successivi operai per la rimozione delle macerie e il ripristino di condizioni accettabili per le abitazioni e le attività. Ma in ogni caso non si poteva più tornare indietro. Quella bomba, quella notte, segnò un punto di svolta nel modo in cui la mafia era vissuta da Firenze e dai suoi cittadini. La mafia era in mezzo in noi, nella nostra vita quotidiana. Anche noi eravamo vulnerabili. Vulnerabili, ma decisi a sostenere la sfida della criminalità organizzata. Tutti insieme, con fermezza, istituzioni e cittadini".

 

A trent'anni di distanza le oscure ragioni di quella strategia terroristica, che oltre Firenze colpì Roma e Milano, sono state quasi del tutto individuate: gli uomini che azionarono le autobombe in nome e per conto di Cosa Nostra, e chissà per quali altri mandanti, volevano costringere lo Stato a far marcia indietro sul 'carcere duro' per i boss mafiosi e sulla legge sui pentiti. Allora lo Stato non si arrese al ricatto. E, grazie al lavoro di magistrati come Gabriele Chelazzi, Piero Luigi Vigna, Francesco Fleury e Giuseppe Nicolosi (ai quali si aggiunse, successivamente, anche Alessandro Crini) pochi anni dopo, esattamente il 6 maggio 2002, furono condannati definitivamente quali mandanti ed esecutori di quella stagione di terrore boss e gregari di Cosa Nostra. Tra questi Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro.

 

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