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Firenze, apertura solenne del Giubileo nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore

La celebrazione presieduta dall'Arcivescovo, mons. Gherardo Gambelli

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domenica 29 dicembre 2024 20:09

 Si è aperto oggi solennemente il Giubileo nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, con la celebrazione presieduta dall'Arcivescovo, mons. Gherardo Gambelli.

Folla in piazza Duono per l'evento. La messa è stata preceduta alle 16 da una solenne processione partita dalla Basilica della Santissima Annunziata, una delle chiese giubilari della diocesi. La processione è stata aperta dalla Croce realizzata per il Giubileo del 2000 che rimarrà esposta in Cattedrale, davanti all'ottagono, fino al termine del Giubileo 2025.

 

L'Arcivescovo ha infatti indicato le chiese giubilari che, oltre alla Cattedrale, sono il Santuario della Santissima Annunziata, il Santuario di Santa Verdiana a Castelfiorentino, il Santuario di S. Maria all'Impruneta e il Santuario di S. Maria a Montesenario.

 

In diocesi è stato costituito un Comitato che si occupa di coordinare gli appuntamenti del Giubileo sul territorio e di fornire informazioni e materiale sul Giubileo e sugli eventi che si svolgeranno a Roma. Sul sito diocesifirenze.it è stata inserita una sezione specifica dedicata al Giubileo 2025.

 

Ecco il testo dell'omelia proclamata questo pomeriggio in Cattedrale dall'Arcivescovo di Firenze:

 

Domenica 29 settembre alla fine della Messa celebrata qui in Duomo, all’inizio dell’anno pastorale nella giornata del migrante e del rifugiato, c’eravamo dati appuntamento per ritrovarci ancora in questo luogo oggi, 29 dicembre, per la solenne apertura del Giubileo nella nostra Diocesi. Il breve pellegrinaggio che abbiamo compiuto ci ricorda il tema su cui abbiamo riflettuto il 29 settembre: Dio cammina nel suo popolo e con il suo popolo.

 

Siamo pellegrini di speranza, chiamati particolarmente in questo anno di grazia, a metterci in ascolto con rinnovata attenzione della Sacra Scrittura che illumina le nostre esistenze e ci fa scorgere sempre meglio la presenza del Signore che cammina con noi e in mezzo a noi. Il testo del Vangelo della Messa ci invita a contemplare il pellegrinaggio della Santa Famiglia, a lasciarci ispirare dal loro modo di vivere, ben sapendo che proprio nelle relazioni quotidiane apparentemente banali, all’interno delle nostre case, delle nostre comunità, delle nostre parrocchie noi possiamo far sì che il Signore cresca con la sua sapienza, statura e grazia. Ci lasciamo guidare nella riflessione da tre verbi importanti: rimanere, cercare, custodire.

 

Il primo verbo che caratterizza un’azione propria compiuta da Gesù nel vangelo di Luca è proprio il verbo rimanere. Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Il verbo greco ypoménein ha il significato anche di perseverare, pazientare. Si ritrova per esempio nel discorso missionario: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22). “Rimanere” indica dunque una volontà ferma di Gesù di obbedire alla volontà del Padre, al suo modo di salvare gli uomini che conduce spesso i suoi inviati nel mondo a essere percepiti come segno di contraddizione.

 

C’è uno scandalo da superare, anche per Maria e Giuseppe, che consiste nell’accogliere l’amore gratuito del Signore. Come verrà chiarito in seguito, il motivo del rimanere di Gesù a Gerusalemme è perché deve occuparsi delle cose del Padre suo.

 

Il verbo “dovere” nel vangelo di Luca esprime l’amore misericordioso del Cristo, che disprezza profondamente il peccato e proprio per questo ama intensamente i peccatori. Si ritrova per esempio nella parabola del Padre misericordioso, quando quest’ultimo si rivolge al figlio maggiore dicendo: “Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava (si doveva) far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,31-32).

 

L’anno giubilare è un tempo di grazia per combattere la tentazione pelagiana di chi pensa di potersi salvare da solo con le proprie forze. Lasciamoci illuminare dall’esempio di Santa Teresa di Lisieux che diceva alla sorella Leonia: «Ti assicuro che il buon Dio è assai migliore di quanto tu creda: si accontenta di uno sguardo, di un sospiro d’amore. Quanto a me, trovo molto facile praticare la perfezione, perché ho capito che non c’è che da prendere Gesù per il cuore! Guarda un bambino, che ha appena recato dispiacere a sua madre. […] Se le tenderà le braccine sorridendo e dicendo: “Abbracciami, non ricomincerò più”, potrà forse sua madre non stringerselo al cuore con tenerezza e dimenticare le sue mancanze infantili? Tuttavia, ella sa bene che il suo caro piccino ricomincerà alla prossima occasione, ma questo non importa: se egli la prende ancora per il cuore, non sarà mai punito». Il rimanere di Gesù, il suo dovere essere nelle cose del Padre esprimono dunque il suo amore fedele e misericordioso per ognuno di noi.

 

Il secondo verbo, “cercare” è quello che caratterizza Maria e Giuseppe. Il senso di questo verbo si illumina anch’esso alla luce di altri versetti del Vangelo in cui viene impiegato, particolarmente nei racconti pasquali. Il mattino del primo giorno della settimana, al sepolcro, due uomini in abito sfolgorante si presentano alle donne, dicendo: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Notiamo che Maria ha capito la lezione e dopo aver cercato per tre giorni angosciata suo figlio dodicenne, non va a cercarlo al sepolcro dopo la sua morte perché adesso sa che è nelle cose del Padre.

 

Notiamo in questa evoluzione dell’atteggiamento di Maria la crescita di una virtù di cui c’è molto bisogno per una sana convivenza, vale a dire la capacità di accogliere il mistero rappresentato da ogni persona. Nella famiglia ogni membro è per l’altro segno e strumento dell’amore di Dio, ma perché esso si manifesti bisogna imparare a fermarsi sulla soglia e lasciare che l’altro, l’altra possa esprimere il suo dono, come e quando vuole.

 

Nell’Esortazione Amori Laetitia Papa Francesco sviluppa questa idea dicendo: “È necessario che il cammino spirituale di ciascuno – come indicava bene Dietrich Bonhoeffer – lo aiuti a “disilludersi” dell’altro a smettere di attendere da quella persona ciò che è proprio soltanto dell’amore di Dio. Questo richiede una spogliazione interiore. Lo spazio esclusivo che ciascuno dei coniugi riserva al suo rapporto personale con Dio, non solo permette di sanare le ferite della convivenza, ma anche di trovare nell’amore di Dio il senso della propria esistenza. Abbiamo bisogno di invocare ogni giorno l’azione dello Spirito perché questa libertà interiore sia possibile” (AL 320).

 

Il terzo verbo è “custodire”: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Questo verbo si ritrova in una forma leggermente diversa al momento della nascita di Gesù, laddove Maria dopo aver ascoltato le parole dei pastori viene presentata nell’atteggiamento del vero discepolo che custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore. È l’atteggiamento di chi prega, mettendo insieme la vita con la Parola di Dio, lasciando che le due dimensioni si illuminino a vicenda.

 

A settembre, alla fine della Messa, ognuno ha ricevuto un rosario proveniente dalla Terra Santa. Sarebbe bello se in questo anno giubilare noi riscoprissimo il valore di questa preghiera da fare in famiglia e nelle nostre comunità. Nell’arte, spesso, la corona del rosario viene presentata come una catena che tiene unite le persone e con la quale prendiamo coscienza di quella fune attaccata all’ancora di salvezza che è già penetrata nel cielo con la morte e la risurrezione di Gesù. Ad essa possiamo aggrapparci nelle tempeste della vita, come ci dice una bella storia.

 

In un villaggio vicino a un fiume, viveva una famiglia felice. Erano tre per il momento: il papà, la mamma e un bambino di sei anni. La sera, prima di andare a letto, facevano la preghiera insieme e un angelo del Signore ogni sera raccoglieva le preghiere e le portava in cielo. Un anno le piogge erano state particolarmente abbondanti nel villaggio e il fiume si riempì d'acqua. Durante la notte, l'acqua cominciò a entrare nella casa della famiglia e il papà svegliò la mamma e il bambino. Disse loro: «Saliamo sul tetto!». Sul tetto, si sentivano come naufraghi su un'isola che diventava sempre più piccola. Infatti, l'acqua continuava a salire e arrivò alle ginocchia del papà. Allora disse a sua moglie: «Prendi il bambino tra le tue braccia e sali sulle mie spalle! Mettiti in piedi sulle mie spalle e il bambino sulle tue. Non aver paura, qualunque cosa possa succedere io non ti lascerò». La mamma baciò il bambino e gli disse: «Sali sulle mie spalle e non aver paura. Qualunque cosa succeda, non ti lascerò». L'acqua continuava a salire e inghiottì il papà, la mamma e arrivò all'altezza della fronte del bambino. L'angelo del Signore, che era venuto a raccogliere le preghiere della sera, vide solo i capelli del bambino apparire in mezzo alle acque. Con un leggero movimento, afferrò il bambino e tirò. Attaccati al bambino la mamma e il papà uscirono insieme dalle acque. Nessuno aveva lasciato la presa. L'angelo volò via e posò dolcemente l’originale catena su una collina alta, dove le acque non avrebbero mai potuto arrivare. Il papà, la mamma e il bambino si baciarono pieni di gioia. Invece delle preghiere quella sera l'angelo portò in cielo il loro amore e la moltitudine degli esseri celesti approvò con un forte applauso.

 

Ti ringraziamo Padre per averci chiamato oggi qui nella tua casa, come pellegrini di speranza. Manda su di noi la forza dello Spirito Santo perché possiamo adorare il Signore Cristo nei nostri cuori ed essere così pronti a rispondere con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi.

 

 

 
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