Alluvione di Firenze, storia di una famiglia fiorentina
"Ricordo bene l'acqua. Nera, sporca, piena di oggetti"
venerdì 04 novembre 2016 17:45
Fango, acqua, detriti e tanta paura. A seguire fatica e olio di gomito, condita da tanta voglia di ricominciare.
Questa è la ricetta che i fiorentini hanno usato per riprendersi dalla terribile alluvione che il 4 Novembre 1966 devastò una delle città più belle del mondo. Una data terribile, impressa a fuoco nella mente delle persone, una tragedia che ricordò all'Italia - ferita in una delle sue città più belle- che la natura è più forte dell'uomo, ma che l'uomo può contare sul volontariato e i buoni sentimenti. Su giovani ventenni che arrivarono da tutto il mondo per aiutare una città devastata. Ma questa è un'altra storia.
La nostra storia, invece, parla di una famiglia. Una famiglia comune, una saga familiare di sette fratelli. Due maschi e cinque femmine. Sette punti di vista su una Firenze degradata, insudiciata dall'acqua che scorreva per le strade, travolgendo ogni cosa. Questa è la storia di come la famiglia Nocentini ha vissuto l'alluvione.
Cuore del nostro racconto sono le sorelle Maria e Liviana, di 25 e di 18 anni che abitavano in un terratetto in Via Toselli con i genitori. "Nei giorni precedenti l'alluvione il livello del fiume si era alzato, c'era nervosismo e qualcuno era andato da alcuni parenti fuori Firenze. Ma la maggior parte rimanevano. Un'alluvione a Firenze? Era impossibile! Queste cose capitano sempre agli altri!" esclama Liviana alla domanda spontanea che sorge sulla bocca di tutti. Perchè non siete andati via?
"La mattina del 4 Novembre ci dissero che il fiume era esondato alle Cascine e ancora non ci aspettavamo tutto quello. Nostro fratello Pier Luigi prese la macchina e la portò sulla salita di Via Bellini per precauzione. L'altra vettura la legò all'inferriate della cantina con un laccio di caucciù. Ma si pensava che sarebbe finito tutto, ma...meglio prevenire che buscarne no?"
Nessuna delle due vetture si salvò. Il laccio fu spezzato come un fuscello dalla piena dell'Arno e l'acqua arrivò anche sulla salita di Via Bellini. " A quel punto capimmo che era una cosa seria; i nostri vicini vennero da noi, per stare vicino, per stare uniti" continua Liviana. "Pierluigi portò al piano di sopra, ove c'erano le camere, il televisore. Quello fu l'unica cosa che si salvò del piano di sotto."
Tutti i mobili furono rovinati dal fango e dall'acqua, i suppellettili furono portati via dalla forza dell'acqua insieme a foto e ricordi. Una vita intera, la storia di una famiglia completamente cancellata in poche ore.
"Anche il nostro gatto, Codino, fu travolto dalla piena. Ma riuscì a salvarsi e tornare da noi dopo qualche giorno regalandoci anche un sorriso. Era un gatto bianco e beh...tornò color cioccolato, miagolando felice" racconta Maria.
L'acqua arrivò quasi a due metri di altezza nella zona, i Vigili usavano dei gommoni per muoversi e grazie ad essi la sorella maggiore, Edda, riuscì a portare alla famiglia un pasto caldo. "Io abitavo in Via delle Panche e l'acqua non era arrivata in quella zona. Non abbiamo subito alcun tipo di danni così abbiamo deciso di aiutare. Mio marito Bruno lavorava ai macelli e lì i erano radunati i vigili che ci hanno dato la possibilità di portare cibo caldo alla mia famiglia. Il gommone si muoveva nell'acqua scura, colma di detriti. Sembrava un incubo".
E, piano piano, l'acqua andò via, lasciando una fanghiglia che avvolgeva tutto. Trovare generi alimentari era difficile. Al pane ci pensava Leonello, il fratello maggiore che abitava a Scadicci e che, fortunatamente, era rimasto indenne dalla forza dell'acqua.
Ma altri rami della famiglia erano rimasti "feriti". Nadia, all'epoca 23enne, abitava in Via Mortuli e da meno di un mese aveva avuto il suo primo figlio, Francesco. " All'Isolotto c'erano circa 70 centimetri d'acqua. Mio marito Luciano era per strada, con le calosce da pescatore, ad aiutare le persone a muoversi, ad attraversare la strada." Non c'erano servizi o viveri, quindi decisero di andare a Prato da alcuni parenti con l'auto che erano riusciti a salvare parcheggiandola sulla Montagnola. Rimasero nella città toscana per una settimana, aspettando che la situazione migliorasse.
Franca, all'epoca 28enne, stava in Via Cittadella all'ultimo piano. "Ricordo bene l'acqua. Nera, sporca, piena di oggetti. Vedemmo passare anche il banco frigo del negozio di primizie di mio fratello Pierluigi ( il negozio si trovava in Via Luigi Alamanni)." Anche lei aveva due bambine piccole e ricorda sopratutto i giorni dopo l'alluvione. " Per lavarci dovevamo andare ad una fontanella e, quando l'impianto idrico fu rispristinato, al primo piano dato che le pompe erano rotte e l'acqua non riusciva ad arrivare agli ultimi piani. Le chiese distribuivano le candele e il poco cibo, ma per lo più ci si arrangiava. Ricordo ancora il sapore farinoso del pane fatto in casa."
Cinquant'anni dopo rimane lo stupore per quei giorni d'incubo e il ricordo del duro lavoro. E una speranza: che non avvenga mai più.
Foto di: quotidiano multimedia