Il maharajah di Firenze

La breve vita di Rajaram Chuttraputti e l’origine del Monumento all’Indiano

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Sotto uno dei ponti più trafficati di Firenze si nasconde una storia che arriva da molto lontano. Il Ponte all’Indiano, che oggi collega l’Isolotto a Peretola, fu costruito tra il 1972 e il 1978 su progetto degli architetti Adriano Montemagni e Paolo Sica insieme all’ingegnere Fabrizio de Miranda, premiato nel 1978 a Helsinki con il riconoscimento europeo ECSS-CECM.

 

Il nome del ponte non ha nulla a che vedere con la sua struttura moderna: rimanda invece a un episodio avvenuto un secolo prima. Nel Parco delle Cascine, proprio sotto la grande campata, si trova il Monumento all’Indiano, eretto nel 1870 dallo scultore inglese Charles Francis Fuller in memoria del principe indiano Rajaram Chuttraputti di Kolhapur, morto a Firenze il 30 novembre 1870.

 

Rajaram aveva poco più di vent’anni. Durante un viaggio in Europa, seguendo il consiglio del primo ministro britannico Gladstone, decise di fermarsi a Firenze per scoprirne l’arte e la cultura. Alloggiava al Grand Hotel in piazza Ognissanti quando si ammalò improvvisamente, probabilmente per un’infezione polmonare, e morì nel giro di pochi giorni.

 

La sua pira funeraria venne allestita nel punto in cui il torrente Mugnone incontra l’Arno: non una scelta simbolica, ma un gesto necessario per rispettare un’antica tradizione induista, secondo la quale le ceneri devono essere disperse alla confluenza di due corsi d’acqua. Da qui nasce il monumento che ancora oggi ricorda il giovane maharajah, una storia lontana che per caso — e per destino — si è intrecciata con quella di Firenze.

 

 

 
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