Firenze, chiesta la revoca della condanna a morte e la liberazione della sindacalista iraniana Sharifeh Mohammadi
Approvata risoluzione in Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione
mercoledì 18 settembre 2024 17:20
La Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione, presieduta da Stefania Collesei, ha approvato la risoluzione “Per chiedere la revoca della condanna a morte e la liberazione immediata della sindacalista iraniana Sharifeh Mohammadi” proposta dai consiglieri Stefania Collesei (PD), Luca Milani (PD), Caterina Arciprete (AVS – Ecolò), Giovanni Graziani (AVS – Ecolò) e Vincenzo Maria Pizzolo (AVS – Ecolò). La risoluzione è stata, inoltre, sottoscritta dai consiglieri Andrea Ciulli (PD), Dmitrij Palagi (SPC) e Renzo Pampaloni (PD).
L’attivista Sharifeh Mohammadi è stata condannata a morte dal tribunale rivoluzionario di Rasht, nella regione del Gilan, nel nord dell’Iran, dopo aver subito una detenzione di oltre sette mesi. Mohammadi è accusata di “ribellione armata” (baghy) per il suo impegno nel movimento sindacale, nonché di appartenere al partito curdo Komala, che Teheran considera un’organizzazione terroristica. Quest’ultima accusa è stata smentita dalla difesa dell’attivista, mentre è stata riconosciuta la sua affiliazione al Comitato nazionale di coordinamento per l’assistenza ai sindacati (LUACC), nonostante questa risalga a circa dieci anni fa e non si tratti di un’associazione illegale.
Secondo la testimonianza della cugina Vida Mohammadi, Sharifeh non era iscritta a nessuna organizzazione in Iran o all’estero e la sua attività in difesa dei diritti delle donne e dei lavoratori era indipendente. Mohammadi, 45 anni, è stata arrestata il 5 dicembre dello scorso anno a Rasht da agenti dell’intelligence iraniana, che hanno ispezionato casa sua e confiscato alcuni effetti personali. In seguito la sindacalista è stata detenuta in diverse strutture, prima nella prigione di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, fino ad arrivare nel carcere di Lakan a Rasht, subendo torture e trattamenti degradanti, nonché il regime di isolamento per diversi mesi. Prima ancora della condanna a morte la madre dell’attivista aveva denunciato di non avere sue notizie da tempo, mentre il marito Siros Fathi è stato arrestato per il suo impegno a favore della liberazione di Sharifeh, salvo poi essere rilasciato.