Lavorare si, ma in coworking. Intervista ai fotografi di Cowo98
Sei persone, tra fotografi architetti e grafici, che lavorano in coworking a Firenze
martedì 23 giugno 2015 11:52
Dietro la porta del numero 98 di via Pisana si ride, si beve the, si gioca a freccette ma soprattutto si lavora. Si lavora insieme, si coltivano progetti sia comuni che singoli, si lavora in coworking. Ma cosa vuol dire esattamente lavorare in uno studio del genere, come passano le giornate, come si riesce a portare avanti progetti? Sono alcune delle domande che abbiamo fatto a tre dei ragazzi di Cowo98, Simone Padelli, Marco Borrelli e Francesco Niccolai, quelli che ogni giorno varcano la porta di via Pisana 98.
Entrando nello studio si vedono tavoli pieni di penne, matite e pennarelli. Computer, macchine fotografiche e una sala posa piena di macchinari che non sembrano affatto facili da usare. C'è un piccolo divano bianco, e sopra una grossa bacheca piena di cose. In un'occhiata non si fa in tempo a vedere e capire tutto quello che c'è attaccato, ma salta subito all'occhio un bersaglio per freccette, tra biglietti di concerti, disegni, schizzi, viaggi e tanto colore. Se siete passati da piazza del Carmine per la Notte Bianca di Firenze, probabilmente vi sarete fatti fare una foto accanto ad un'ape piena di lucine. E dietro alle macchine fotografiche c'erano loro.
Identikit - Sei persone, quattro fotografi, un architetto, un grafico, tutti dai 25 ai 32 anni.
Com'è nato Cowo98?
Simone: E' partito tutto da noi, tre fotografi che studiato insieme alla Laba (Libera Accademia di Belle Arti), come necessità di metterci insieme e collaborare, necessità anche economica per dividere le spese, unita alla voglia di condivisione di esperienze diverse. Un nostro ex professore aveva uno studio inutilizzato e siamo venuti qua. In un secondo momento abbiamo voluto strutturarci, e il coworking era la soluzione più congeniale per noi, ci permette di mantenere ognuno la propria esperienza professionale come singoli ma anche di collaborare. Da qui la voglia di espanderci in altri campi, come architettura, grafica e video e sono subentrate altre persone. Più o meno una decina di persone sono gravitate qui dentro in questi anni.
Che tipo di coworking è il vostro?
Marco: Siamo un coworking particolare, lo siamo a livello burocratico ma ci presentiamo anche come studio ai clienti, come unica entità a cui collaborano tutte le professioni. Abbiamo un sito internet comune, un logo e un percorso di marketing per presentarci all'esterno anche come studio unico. Chi lavora qui non è solo un professionista che prende una scrivania per lavorare indipendentemente dagli altri, ma un professionista che accetta anche un percorso di partecipazione e collaborazione tra figure, così da avere varie professionalità da offrire ad un cliente.
Francesco: Nel nostro coworking si lavora in modo partecipato, ognuno con la sua identità professionale ma non un servizio a compartimenti stagni, il cliente è accolto in una realtà che soddisfa più esigenze. Insomma, andrebbe tutto bene, se ci fossero più clienti. Diciamo che siamo grandi professionisti ma che però non sempre sappiamo 'venderci' bene.
Perchè la scelta di lavorare in un coworking anzichè da soli?
Francesco: Noi non avevamo niente, non avevamo una rete di clienti e abbiamo fatto questa scelta, anche perchè oggi le difficoltà del trovarsi un lavoro indipendente ci sono, e partire insieme è meglio che da soli, perché si condividono non solo le spese, ma anche le difficoltà, il lavoro e l'esperienza. E' un'evoluzione in tutti i sensi, io quando sono arrivato qui ne sapevo poco di fotografia in studio, perché il mio campo era un altro, mentre ora tutti abbiamo messo insieme le nostre esperienze e imparato l'uno dall'altro.
Simone: Un professionista già affermato non ne ha bisogno magari, ma come punto di partenza è consigliabile. A livello personale la qualità del lavoro qui è migliore, in uno spazio del genere si lavora e si è contenti di lavorare, ti svegli contento di venire a lavoro, piuttosto che in un'azienda, dove invece non sempre ci si trova bene. Qui non hai capi ma non sei solo. Io conosco le persone con cui lavoro e so che posso fidarmi e che prodotto sono in grado di garantire.
Avrà anche qualche difetto questo tipo di lavoro...
Marco: Sicuramente abbiamo i classici screzi dati dalla convivenza, ma noi siamo fortunati perché siamo prima amici che colleghi. Ma c'è comunque rispetto della concentrazione di ognuno.
Quando dite coworking, la gente sa di cosa parlate?
Marco: Un buona metà non capisce e non sa cos'è, e altri lo sanno in modo sommario.
Veniamo alle note dolenti, mi avete detto che sapete dove mangiare in zona con cinque euro, economicamente non sempre è facile...
Simone: Sicuaramente ci sono alti e bassi, questo tipo di lavoro non garantisce un equilibrio economico, certamente non c'è lo stipendio fisso, non arriva niente il 27 del mese, puoi un mese prendere 4mila euro per un lavoro grosso, e il mese dopo solo 700 di un matrimonio o anche meno.
Oltre alle difficoltà economiche, quali sono i problemi che più frequentemente riscontrate nel lavoro?
Francesco: All'inizio il mio progetto era viaggiare, e la fotografia era un pretesto per farlo, al momento mi ritrovo per vivere a fare fotografia commerciale, in particolare di architettura, che mi piace molto ma che non è la mia passione principale. Sono ancora proiettato verso un progetto di vita che riguardi strettamente il viaggio e fotograficamente inteso come reportage che non ha a che fare con uno studio fotografico, ma ora questo lavoro è una necessità perché mi serve per vivere. Ho dovuto arrangiare il mio sogno in un contesto più concreto che mi permetta il sostentamento, quindi la soddisfazione non è al 100%. Il problema più grosso che riscontro è il dovermi pubblicizzare come fotografo commerciale perché mi rendo conto di essere bravo nel fare quello che faccio ma non altrettanto nel venderlo, perché anche il marketing è un lavoro di per sè, e negli anni mi sono reso conto che c'è tanta gente che lavora male ma lavora tanto perché sa vendersi.
Marco: Io mi trovo a lottare con la mediocrità professionale che c'è in giro. Sono fotografo di spettacolo e mi trovo magari a combattere con addetti ai lavori che 'le foto ce le fa la maschera' o che 'tanto ci pensiamo noi con il cellulare', quindi c'è una svalutazione del lavoro in sè, giudicato a volte superfluo. Fortunatamente in alcuni teatri c'è invece un altro tipo di attenzione, come per esempio al Verdi con cui collaboro. Poi c'è anche chi prende le tue foto e le pubblica senza autorizzazione o senza neanche citarti, cosa che mi è successa anche con cantanti molto famosi.
Simone: Il problema più grosso nel mio lavoro, soprattutto moda e still life, è che ho a che fare con aziende, e con la contrattazione, che è sempre a ribasso, e pur di lavorare sei costretto ad abbassare i preventivi, perché le aziende si accontentano del minimo e devi limare il tuo lavoro e lavorare ad un prezzo bassissimo. Fino a dieci anni fa i prezzi erano il triplo, ora le aziende per ammortizzare i costi tendono a fare tutto in casa anche se con qualità basse, in più ci sono molti fotografi improvvisati. La qualità che fornisco non è capita e quindi non le viene dato il giusto prezzo.
Ora facciamo tornare il sereno, ditemi qualcosa di positivo...
Simone: Ci sono anche esempi di altro tipo, positivi, un'azienda mi ha addirittura chiesto di alzare il preventivo e mi ha dato un grosso margine personale di creatività, e lì sono anche contento di investirci più tempo.
Marco: Ho le mie piccole e grandi soddisfazioni. Anni fa sono stato chiamato personalmente dal Globe di Roma perché hanno visto una mia foto a Gigi Proietti al Verdi, l'hanno apprezzata e da lì nata collaborazione con le produzioni e quindi con il Globe Theatre di Roma che seguo da tre anni. Ritrovarsi fuori città perché scelto e voluto e non solo per un'occasione singola è stata una soddisfazione.
Francesco: Per me la soddisfazione più grande è la coniugazione tra soldi e progetti, niente a che vedere con le frustrazioni che puoi avere con non essere pagato o essere pagato in ritardo o poco. Il ritorno che hai in termini emozionali è altissimo. L'anno scorso col lavoro che ho fatto mi sono finanziato un reportage in Iraq ritraendo rifugiati siriani, ed è stata un'esperienza che mi ha ripagato molto di più rispetto a soldi. Tutto parte dallo studio che ti permette di lavorare e farti budget per finanziare le tue passioni reali e i tuoi progetti.
E uno sguardo al futuro?
Simone: Ora che siamo strutturati vogliamo continuare così ma trovare una sede più grande per accogliere più persone, con un luogo svincolato da un proprietario. Vogliamo ampliarci a livello sia logistico che interprofessionale, non vincolato alla fotografia ma all'immagine e alla comunicazione, all'arte grafica, al video e al web.
Marco: Abbiamo in progetto di allargarci, di far diventare questo posto un porto di mare, un 'covo' di personalità diverse e professionalità. Poi certo, anche comprare un flipper rientra nella lista delle cose da fare.